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PERCHÈ: L’esperienza della malattia e il valore terapeutico
nella narrazione

La malattia non è semplicemente uno stato fisiologico. Ammalarsi non significa solo soffrire fisicamente e vedere il proprio corpo trasformarsi fino a non riconoscerlo più, ma significa anche vedere completamente scombussolate le proprie abitudini, il proprio lavoro e le proprie priorità, le amicizie, gli affetti. In sintesi, la propria vita e la propria identità. Non a caso, la malattia grave e invalidante è stata definita come una “rottura biografica”, un vero e proprio punto di frattura nella trama esistenziale (“C. Malvi, “La realtà al congiuntivo. Storie di malattia narrate dai protagonisti”, Franco Angeli, 2011). Si tratta, infatti, di un evento inatteso, che rompe la quotidianità e a cui, chi ne è colpito, fatica a dare un senso.

La narrazione, in forma orale o scritta, può offrire uno strumento prezioso al malato per risignificare questa esperienza traumatica ed aiutarlo a ricostruire la nuova identità che ne scaturisce. Narrare l’esperienza di malattia è una strategia che può aiutare il paziente a rimettere insieme “i suoi pezzi”, le parti di quel sé che la malattia ha spesso prepotentemente frammentato (Malvi, 2011). Questo atto narrativo, dalle preziose potenzialità terapeutiche, è però reso possibile non solo dal soggetto che racconta la malattia, ma anche da quello che la ascolta: il medico, lo specialista o l’operatore sanitario.

LA STORIA: Lo sviluppo della medicina moderna
e la progressiva riduzione di spazio per il vissuto del paziente

A partire dalla metà del XIX secolo, con l’affermarsi della biomedicina scientifica, strettamente connessa allo sviluppo dei laboratori chimico-farmaceutici e dell’ospedale moderno, l’importanza dell’esperienza del paziente e, dunque, della sua narrazione, nell’attività clinica è progressivamente diminuita, circoscrivendo la rilevanza della sua narrazione unicamente ai fini della raccolta delle informazioni necessarie a definire segni e sintomi oggettivi della malattia (G. Giarelli, “Storie di cura. Medicina narrativa e medicina delle evidenze: l’integrazione possibile”, Franco Angeli, 2005).

La grande espansione delle tecnologie diagnostiche, terapeutiche e chirurgiche, avvenuta dopo gli anni ’40 del secolo scorso, ha contribuito all’affermarsi di una “medicina tecnologica”, che ha reso il paziente sempre più passivo e il resoconto della sua esperienza di malattia sempre più irrilevante (Giarelli, 2005). Ciò che si perde in questo progressivo processo di oggettivazione, che si concentra sull’osservazione, la misurazione e la manipolazione del corpo, si ripercuote sia sul versante del sapere del medico sia su quello del paziente: si privilegia il dato di laboratorio rispetto all’elemento dell’anamnesi, dell’intuito clinico e dell’interpretazione e ciò che viene seriamente compromesso e quasi annullato è lo spazio del vissuto (Malvi, 2011). Il rapporto interpersonale, aperto all’empatia, tra il paziente e il suo medico non scompare completamente, ma viene via via ridotto, poiché inerente ad una dimensione dell’intersoggettività che non è misurabile né domabile e i cui tempi si sottraggono alle regole dell’efficacia e dell’efficienza (Malvi, 2011). Se da un lato, dunque, le moderne tecnologie hanno potenziato il sapere e l’agire del medico e l’aumento della competenza scientifica ha creato nuove opportunità di diagnosi e terapia, dall’altro questo potenziamento ha progressivamente portato la medicina a considerare la malattia alla stregua di un guasto meccanico da riparare, perdendo la sua costitutiva vocazione all’approccio olistico al malato e riducendo il suo intervento alla sola conoscenza della patologia, concepita come entità biologica e considerando i sintomi nonché gli stati soggettivi delle persone, come fenomeni secondari, anziché costituenti necessari dello stesso concetto di malattia (Malvi, 2011).

La possibilità per il paziente di raccontare al medico la propria storia di sofferenza e dolore, traendone beneficio, viene annullata e sostituita spesso dall’uso di questionari a domande chiuse, cui rispondere con un semplice sì/no. “In tempi ancora più recenti, l’introduzione dell’anamnesi eseguita dal computer, di pari passi con l’intensificato ricorso ad esami di laboratorio sempre più inutili ed invasivi e a prescrizioni farmacologiche sempre più massicce, ha così ridotto la pratica clinica a mera “tecnologia” ed il rapporto con il paziente a fastidiosa appendice. ” (G. Giarelli, La pratica clinica oltre l’EBM, Salute e Territorio, n. 176 – 2009).

LE ORIGINI: La rivalutazione della narrazione nella pratica
clinica: la nascita della Medicina Narrativa

La cosiddetta Medicina Narrativa o Narrative Based Medicine (NBM) fa la sua comparsa nella letteratura scientifica, con questa specifica denominazione, in una raccolta di articoli pubblicati sul British Medical Journal alla fine degli anni ’90 (Greenhalgh e Hurwitz 1998), ma le sue origini vanno tracciate negli USA, ad opera della Harvard Medical School.
Punti di riferimento fondamentali ed ispiratori di tale approccio sono due psichiatri e antropologi in essa operanti: Arthur Kleinman (1980) e Byron Good (1999). Entrambi considerano la medicina come un sistema culturale, ovvero un insieme di significati simbolici che modellano sia la realtà che definiamo clinica, che l’esperienza che di essa il soggetto malato fa (Giarelli, 2005).

La base di riferimento teorica fondamentale per comprendere la Medicina Narrativa ed il suo approccio è riconducibile proprio alla definizione di “malattia”. Kleinman opera un distinguo tra tre piani di significato ad essa associati, resi in inglese da tre parole differenti (Giarelli, 2005):

“disease”, ovvero la malattia intesa in senso biomedico come lesione organica o aggressione di agenti esterni, evento oggettivabile e misurabile mediante una serie di parametri organici di natura fisico-chimica (temperatura del corpo, etc.)
“illness”, ovvero l’esperienza soggettiva dello star male vissuta dal soggetto malato sulla base della sua percezione soggettiva del malessere, sempre culturalmente mediata
“sickness”, ovvero il significato sociale dello star male

La medicina basata sulla narrazione apre una riflessione sull’opportunità di curare la malattia intesa non solo come “disease”, ma anche come “illness” e come “sickness” (Malvi, 2011), rispondendo alla necessità di guardare ad essa e alla sua irruzione nella vita della persona, così come alla presa in carico del paziente da parte del medico e/o della struttura sanitaria, come a qualcosa di assai più complesso che un insieme di visite specialistiche, esami diagnostici, interventi di vario genere (Malvi, 2011). Il punto di vista della Medicina Narrativa è concentrato sulla persona, su quella particolare persona malata, con la sua storia individuale, sua e di nessun altro, con la sua rete di relazioni sociali e il suo contesto di vita, con la sua maggiore o minore capacità di reagire alla sofferenza, a una disabilità, alla possibilità di morire (Malvi, 2011).
“La Medicina Narrativa fortifica la pratica clinica con la competenza narrativa per riconoscere, assorbire, metabolizzare, interpretare ed essere sensibilizzati dalle storie della malattia: aiuta medici, infermieri, operatori sociali e terapisti a migliorare l’efficacia di cura attraverso lo sviluppo della capacità di attenzione, riflessione, rappresentazione e affiliazione con i pazienti e i colleghi.” (Rita Charon, fondatrice della Medicina Narrativa, docente di Clinica medica e direttrice del programma di Medicina Narrativa della Columbia University di New York).
La narrazione e le tecniche narrative, accendono i riflettori sulle storie di malattia e su una dimensione della loro conoscenza, che la tecnologizzazione della medicina e degli atti medici rischiano, altrimenti, di lasciare in ombra (Malvi, 2011), generando la perdita di significativi benefici, per il paziente, la medicina e la sanità.

VANTAGGI: I vantaggi della Medicina Narrativa per il paziente,
il medico, l’assistenza sanitaria

La Consensus Conference promossa dall’Istituto Superiore di Sanità ha dato risposte condivise ai 3 requisiti posti alla giuria: definizione di medicina narrativa; metodologie; vantaggi. Attualmente il comitato di scrittura sta stilando il documento finale.
Anticipiamo di seguito i vantaggi messi in evidenza in sede di Consensus e presentati il 13 giugno a Roma presso l’ISS:
Alla luce delle esperienze applicative ad oggi realizzate, in carenza di una metodologia valutativa consolidata, sulla base delle conoscenze degli esperti, la MN, riportando il paziente al centro del processo di cura, può essere utilizzata nei seguenti ambiti:

- prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione
- aderenza al trattamento
- funzionamento del team di cura
- consapevolezza del ruolo professionale e del proprio mondo emotivo da parte degli operatori sanitari e socio-sanitario
- prevenzione del burn-out degli operatori e dei caregiver
- promozione e l’implementazione dei PDTA
- ottimizzazione delle risorse economiche
- prevenzione dei contenziosi giuridici e della medicina difensiva